Un tratto che ha caratterizzato l’emigrazione piemontese e italiana è l’attività associativa.
In Argentina, secondo un elenco del Ministero per gli Affari esteri, nel 1896 vi erano 302 associazioni italiane, di cui l’85% costituito da associazioni mutualistiche con 124.543 iscritti; nella sola Buenos Aires vi erano 100 società di mutuo soccorso per un totale di oltre 50.000 membri.
Una rapida carrellata dei loro nomi dà un’idea riguardo alle impostazioni politiche e ai riferimenti campanilistici: Unione e Benevolenza, Nazionale Italiana, Unione operai di Santa Fe, Società Garibaldi, ma anche l’Unione meridionale e così via. Come già accennato, dall’esperienza associazionistica nacquero anche i primi ospedali italiani (nel 1872 l’Ospedale Italiano di Buenos Aires a cui seguirono quelli di Rosario, Cordoba e così via). La fondazione di questi centri di cura nasceva da una collaborazione tra le maggiori associazioni mutualistiche, gli imprenditori locali di origine italiana e le principali istituzioni economiche degli emigrati.
Nella prima fase del Novecento, con la guerra italoturca e l’occupazione della Libia e, in seguito, con lo scoppio della Prima guerra mondiale, le comunità italiane all’estero furono investite da un violento patriottismo capace di accordare le diverse anime anche all’interno del mondo associazionistico. Per la prima volta, nel 1919, si registrò la nascita di una federazione ombrello che univa le diverse realtà mutualistiche e non.
Con l’avvento del fascismo anche nel mondo associativo si crea una profonda spaccatura. La Federazione generale delle società italiane entrò subito nell’orbita fascista, stessa cosa per le associazioni legate alle scuole italiane così come in quelle delle società dei reduci di guerra. Ciononostante, il regime non riuscì mai a penetrare fino in fondo all’interno della comunità e nel mondo associazionistico. Il Fascio di Buenos Aires per esempio non superò mai i 4.000 iscritti e il dopolavoro si mantenne sempre intorno ai 12.000 iscritti. Nel dopoguerra le associazioni di mutuo soccorso vissero inizialmente un periodo di crisi e anche in seguito faticarono ad attrarre nuovi soci tra chi giunse nel paese nel secondo dopoguerra.
Fu proprio con l’arrivo dei nuovi immigrati che si assistette al proliferare di una diversa forma di associazionismo a base perlopiù linguistico-culturale, regionale e religiosa. Con la nascita delle Regioni in Italia, nel 1970, e la crescita della loro autonomia e sfera d’influenza negli anni Ottanta, assistiamo a un rinnovato boom dell’associazionismo, in particolare di stampo regionale. I nuovi enti inclusero nella ricostruzione della storia dei propri territori i movimenti migratori affiancando a numerosi servizi per i loro concittadini sparsi nel mondo, una serie di iniziative, quali i gemellaggi, volte a sviluppare i legami economici e culturali: nacque una pubblicistica su base regionale, furono finanziati scambi, premi, piccoli musei che hanno favorito il recupero e la conservazione della memoria migratoria. Da quel momento tale forma «regionale» di associazionismo diventa il modello istituzionale associativo più frequente. Tra il 1970 e il 1990 vennero fondate 400 associazioni.