Piemontesi e italiani migranti hanno lavorato nei settori di attività più svariati. L’agricoltura ha giocato un ruolo di primo piano assorbendo non solo braccianti, ma anche manodopera qualificata, nella coltivazione dei cereali, nell’allevamento. Il contributo piemontese fu fondamentale anche nella vitivinicoltura: in California, la colonia di Asti, fondata nel 1881, divenne un centro vitale per la produzione vinicola, grazie anche a famiglie come i fratelli Gallo e i Rosso.
Gli artigiani furono tra le categorie più rappresentate: numerosi i modisti, i sarti, i cappellai e i ciabattini. Gli emigrati possedevano anche drogherie, caffè, ristoranti, la cui clientela si allargava oltre la comunità d’origine.
I mestieri che forse più di altri hanno rappresentato la forza lavoro piemontese all’estero furono quelli legati all’edilizia. In questo settore gli artigiani ricoprirono i lavori più svariati: manovali, sterratori, pittori, stuccatori, piastrellisti, mosaicisti. Questo esodo provocò lo spopolamento delle aree montane e una profonda trasformazione del lavoro agricolo, con un crescente protagonismo femminile nella gestione economica e sociale delle comunità locali.
Dalle Valli valdesi a sud ovest di Torino emigrarono i valdesi in maniera organizzata verso l’Uruguay e l’Argentina fondando colonie agricole e facendo nascere la Chiesa valdese del Rio de la Plata. Torino invece fu il cuore dell’emigrazione religiosa cattolica, in particolare salesiana: dal 1875, missionari guidati da don Giovanni Cagliero operarono in Patagonia, Brasile e Stati Uniti, lasciando un segno profondo nelle comunità locali.
Accanto a questo fenomeno, si affermarono figure di spicco tra i professionisti. In Argentina, l’architetto Vittorio Meano fu protagonista di opere monumentali come il Teatro Colón e il Congresso Nazionale, mentre Francesco Gianotti contribuì allo sviluppo dello stile Art Nouveau a Buenos Aires. A Cuba, Dino Pogolotti costruì un quartiere popolare innovativo che porta ancora oggi il suo nome.